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DALLE FABBRICHE A TALPONIA - Cento anni di Olivetti a Ivrea

Oblò sul tetto di Talponia

«Ivrea la bella che le rosse torri/ specchia sognando a la cerulea Dora/ nel largo seno …». È una strofa di Piemonte, l’ode in cui Giosuè Carducci, ispirato dallo spirito patriottico risorgimentale, celebra i fasti dei Savoia ed i castelli della città piemontese, incastonati lungo il corso del fiume.
Oltre alla rievocazione del poeta toscano, oltre al Carnevale, oltre alla vicinanza con uno dei paesaggi naturali più belli del paese, il parco nazionale del Gran Paradiso, la capitale del Canavese lega la sua fama all’attività dell’industria Olivetti, che qui ha sede e stabilimenti da cento anni. Era il 1908, infatti, quando la prima fabbrica italiana di macchine da scrivere aprì i battenti, modificando quel paesaggio che Carducci aveva descritto poco meno di 20 anni prima.


La sede storica Olivetti di Ivrea: dettaglio delle vetrate a nastro.

Proprio la presenza della storica azienda ha fatto sì che Ivrea diventasse, alla metà del secolo scorso, uno dei campi di sperimentazione dell’architettura moderna. Sotto la guida di Adriano Olivetti, rampollo del fondatore Camillo Olivetti, l’impresa di famiglia cominciò ad ampliarsi e rinnovarsi architettonicamente a partire dagli anni tra le due guerre: la sede centrale dell’azienda piemontese divenne infatti, in quegli anni, un autentico cantiere della modernità.
I protagonisti di questo ridisegno delle strutture dell’azienda sono Luigi Figini e Gino Pollini, esponenti dell’architettura razionalista. Nel complesso di Ivrea i due hanno collaborato più volte, sia al livello progettuale che poi a quello realizzativo, dall’espansione degli stabilimenti e delle mense dei lavoratori a opere che riflettono la visione sociale, oltre a quella industriale, di Adriano Olivetti.

Villette a schiera destinate ad operai con famiglie numerose.

A cavallo tra gli anni Trenta e i Quaranta, Figini e Pollini lavorarono alla sistemazione urbanistica di un quartiere operaio e alla costruzione di una casa a schiera a Borgo Olivetti, coniugando le ragioni della necessità abitativa con la funzionalità e l’estetica promosse dal movimento moderno. Ma è nel progetto immediatamente successivo, quello per il quartiere di Castellammonte, che viene messa in cantiere un’opera di grande impatto visivo e di forza innovativa. Si tratta di un complesso di 7 abitazioni (erano 11 quelle previste inizialmente) destinate a ospitare le famiglie dei dipendenti con più figli a carico. Gli alloggi - quattro per edificio - sono ancora perfettamente funzionanti, e quasi tutti abitati.

La loro particolarità consiste nell’uso di materiali selezionati accuratamente (la pomice forata per le pareti di riempimento, rivestimenti di lastre di pietra artificiale per le pareti esterne) e nel fatto che l’orientazione degli edifici, indipendentemente dall’asse stradale, è studiata in modo tale da ridurre gli effetti delle condizioni climatiche: pochissime aperture nei lati esposti a nord, per arginare il freddo invernale, e grandi finestroni sul lato sud, per aerare la casa nei giorni d’estate. Inoltre, un giardinetto con portico per ogni palazzina, che è possibile chiudere per ripararsi dalle intemperie.
La grande apertura alla modernità inaugurata da Adriano Olivetti, cui si lega il nome di Figini e Pollini, è stata poi proseguita, nel corso degli anni, dagli eredi dell’azienda.

La "corte interna" di Talponia con le vetrate aperte sul boschetto.

Del 1969-1974, ad esempio, è la realizzazione di “Talponia”, un singolare edificio semicircolare (dal raggio di 70 metri) progettato da Roberto Gambetti e Aimaro Oreglia d'Isola. La caratteristica di Talponia, da cui deriva il soprannome, è data dal fatto che le abitazioni giacciono sotto il livello del suolo, perfettamente integrate con l’ambiente. Sui tetti degli ultimi piani sono adagiati una strada pedonale e una grande superficie di prati verdi, mentre le vetrate delle case, sull’unico lato non interrato della costruzione, si aprono su una piccola collina sormontata da un boschetto.
Ancora oggi questi edifici - e l’intero complesso edilizio legato alla Olivetti - mantengono intatti la loro ambiziosa modernità e l’eco di un raro episodio di “architettura sociale” in Italia. E se tutto questo è ancora fruibile e ben preservato, lo si deve anche al progetto di tutela dei beni architettonici che ha portato, nel 2001, alla nascita del MaAm, il museo a cielo aperto dell’Architettura Moderna di Ivrea.

testo: Stafano Vannucci
foto: Sonia Squilloni

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